Il padre

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Un commento allo spettacolo, tratto da “Il Resto del Carlino”

August Strindberg (1849-1912) dice di sé: “Non ho il pensiero più acuto, ma il fuoco e il mio fuoco è il più bruciante di tutta la Svezia”. E’ il suo biglietto di presentazione, dove ossessività e tormento sembrano danzare con la forza espressiva di tale dichiarazione. Una vita, la sua, marcata dall’angoscia, crisi morale e travaglio interiore che segnerà tutta la sua poetica teatrale. “Il Padre”, scritto nel 1887, è considerato un capolavoro del teatro naturalista in cui Strindberg affonda gli artigli nella propria psiche per cercare le cause profonde, oscure della sua infelicità, le tare, le nevrosi che lo tormentano. In una lettera agli editori, Strindberg scrive: “Questa commedia realizza il dramma moderno e in tale sua qualità ha qualcosa di molto originale perché la lotta si dibatte tra le anime, nasce la lotta dei cervelli, non più la tenzone a colpi di pugnale o l’avvelenamento… I francesi di oggi cercano ancora la formula, ma io l’ho trovata”. Nel teatro di Strindberg è forte il legame con il pubblico: lo spettatore è costretto a rivivere il processo dialettico che si agita sulla scena, ne è disturbato, scosso, spinto a porsi domande.
La divergenza di opinioni tra il capitano e sua moglie Laura nasce sull’educazione della figlia Berta. La donna con abilità insinua nella mente dell’uomo, abituato al comando, il dubbio della paternità per poi coinvolgere, nella sua sottile trama, conoscenti, familiari e perfino il medico di famiglia, il dottor Ostermark. Lo scontro fra i due si fa sempre più acceso e furibondo fino a sfociare in un gesto violento del Capitano che lo screditerà fino all’interdizione. La sconfitta del “maschio” viene espressa dal repentino cadere del protagonista in una dimensione infantile, in una prostrazione profonda, senza difesa, nella quale troverà la morte.

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